La bambina con il vestito logoro: l’icona del 'divenire' cura.

Per pensare

La passione educativa, lo studio e la ricerca sulla figura  M. Domenica Mazzarello hanno  accompagnato suor M. Grazia Rizzo a scrivere questa interessante riflessione: La bambina con il vestito logoro: l’icona del 'divenire' cura.
Maria Domenica Mazzarello e il carisma salesiano vissuto al femminile.

In essa cogliamo una chiara consegna: "essere, "come la confondatrice dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, donne che divengono cura, denunciando con un’azione educativa mirata, l’urgenza di una particolare cura ed attenzione al mondo delle giovani donne che ci interpella quotidianamente". 

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L’icona

«In un’altra passeggiata di maggio, al Santuario della Rocchetta, a Lerma, diede un bell’esempio di carità verso una bambina di cinque o sei anni. Avendola vista tutta in cenci, mal coperta e sofferente, subito le fece parte della sua provvigione, e, non sapendo come meglio coprirla, domandò alle suore: “Quella tra voi che ha la sottana migliore, me la dia”. Appena l’ha, siede sull’erba del prato, dà mano alle forbici, ne taglia un abito, ne distribuisce le varie parti alle suore, perché le cuciano; cuce ella stessa con quell’attività che le era propria e intanto interroga la bambina sul Catechismo e le insegna a recitare le preghiere.

Finita la vesticciola, gliela indossa, prende gli avanzi, ne fa un pacchettino e glielo dà dicendo: “Questo portalo a casa e dallo alla mamma che se ne servirà per rattopparti la veste qualora venga a stracciarsi”. Poi avendo saputo che la bimba aveva dei fratellini, vi aggiunge due o tre pagnotte e del formaggio, dicendole: “Ora va’ a casa, e questo lo mangerai con loro”. E la manda tutta contenta ai suoi parenti.

La sera, ritornata a casa, nel dare relazione della passeggiata a tutta la comunità, disse: “Oggi nel cammino abbiamo incontrato una povera bambina tutta sudicia… cenciosa… che moveva veramente a compassione. E quanto ho goduto nel vedere che le suore corsero ad accarezzarla con affetto e carità…”.

Naturalmente tacque la parte da lei fatta, ma inculcò l’amore soprannaturale che si deve alle fanciulle: che incontrandole per istrada le avvicinassero con carità, specialmente le più povere; che non badassero al loro esterno, ma, sì, all’anima, per aiutarle a salvarla; e che se non potevano far altro, lasciassero alle medesime almeno un buon ricordo».[1]

Le mie riflessioni partono da questo episodio semplice quanto emblematico della vita di Maria Domenica Mazzarello. Mi è parso significativo tanto da ergerlo a icona perché, a mio avviso, si presenta come un condensato di caratteristiche e tratti genuini del Sistema Preventivo e della spiritualità salesiana al femminile incarnato da Maria Domenica nella quotidianità. Il carisma comune con San Giovanni Bosco è stato da lei interpretato in modo creativo a partire dal suo essere donna e consacrata.[2] Credo di poter condividere quanto afferma Mario Midali:

«Madre Mazzarello, più che Confondatrice, è la fondatrice o creatrice dell’esperienza salesiana al femminile. La sua non fu, infatti, un’imitazione passiva di uno stile educativo elaborato da don Bosco per i ragazzi, ma fu un’adesione libera e creativa al progetto educativo salesiano per adeguarlo al mondo femminile».[3] Pur nella consapevolezza di non poter essere esaustiva, mi propongo di rileggere l’episodio nel tentativo di far emergere le caratteristiche salienti che ne tratteggiano la creatività e l’originalità.

1. «Avendola vista tutta in cenci». Uno sguardo “curioso”

Nella storia del pensiero, la curiosità non è sempre stata vista come una facoltà positiva. Da alcuni pensatori antichi è vista come fonte di distrazione e di dispersione, sino al rischio di arrivare alla dissipazione, distogliendo la persona da ciò che è fondamentale. Anche oggi vi è una certa tendenza a considerare la curiosità negativamente, come fonte e causa di de-concentrazione e, quindi, allontanamento da ciò che è importante e su cui fermare la riflessione e l’attenzione.

A ben guardare, però, dal significato etimologico del termine “curiosità” emerge la cura, il prendersi cura, appartiene a chi è sollecito nel ricercare. Educare ad uno sguardo “curioso”, dunque, significherebbe abilitarsi ad essere solleciti nell’osservare la realtà in cui si è immersi, per comprendere quali possano essere le urgenze o le possibilità di bene comune per poter generare vita autentica. Cito, a questo proposito, Michel Foucault:

«La curiosità evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte a esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò che è familiare e a guardare le stesse cose diversamente; un ardore di cogliere quello che accade e quello che passa; una disinvoltura nei confronti delle gerarchie tradizionali tra ciò che è importante e ciò che è essenziale».[4]

Nell’episodio-icona di questa riflessione, si legge: «avendola vista tutta in cenci». È l’attenzione di chi ha a cuore l’altro, chiunque egli sia senza distinzione sociale o culturale. Possiamo dire che il filo rosso dell’intera vita di Maria Domenica Mazzarello sia stato il suo costante “prendersi cura”. Tratto caratteristico, ma non esclusivo, della femminilità. Se volessimo tratteggiare un dipinto che ne fissasse meglio il volto, sicuramente dovremmo utilizzare costantemente la tonalità della cura.[5] Le sue lettere sono ricche di frasi in cui emerge chiaramente questa sua peculiarità: «Stai tranquilla che ne ho tutta la cura»,[6] «Ne abbiamo tutta la cura»,[7] giusto per citarne un paio.

Preferisco parlare di “divenire” cura, piuttosto che di prendersi cura perché, come si evince anche da quanto è stato appena citato di Michel Foucault, il termine divenire contiene in sé l’idea di un itinerario, di un’apertura all’altro che non smette mai di impreziosire la nostra esistenza. Divenire cura implica la scelta libera e responsabile di intraprendere un cammino che porti, gradualmente, al coltivare atteggiamenti e pratiche che facciano accogliere la vita. Un cammino che si rinnova, si rigenera proprio nell’incontro con l’unicità dell’altro, ponendosi al suo servizio incondizionatamente e gratuitamente,[8] così come accade nell’episodio della bambina con il vestito logoro.

Lo sguardo femminile di Maria Domenica Mazzarello è allenato ad essere attento ad ogni situazione, ad ogni incontro che chieda anche nel silenzio, aiuto, ascolto, cura appunto. La bambina nell’episodio raccontato, non proferisce alcuna parola, non domanda nulla né chiede aiuto. È l’attenzione di Maria Domenica che scorge e fa emergere il bisogno. Uno sguardo attento, il «prestare attenzione all’altro è un essenziale e basilare atto di cura ed è allo stesso tempo la condizione per accedere a una visione quanto più possibile fedele del vissuto dell’altro».[9] Non esita Maria Domenica Mazzarello a condividere con la bambina quello che ha “facendo parte della sua provvigione” ma, soprattutto, condivide quello che è: un’educatrice che ha a cuore l’altro, il suo bisogno le sue necessità perché possa sbocciare la vita.

Chi riceve la cura, si rassi-cura, aprendosi a sua volta all’altro, crescendo nella fiducia in sé e nell’altro innestando un po’ alla volta, nella sua vita, l’autonomia e la dignità che sono a fondamento di una vita responsabile. Sono tappe necessarie queste, generative, così da poter attivare relazioni rassi-curanti in cui scegliere di essere protagonista di un cammino che porti a “divenire” cura, nella reciprocità che rende autentica ogni relazione educativa.

La relazione di cura, in conclusione, pone al centro la persona e la sua piena maturazione. La prassi educativa di Maria Domenica, come vedremo, parte dal cogliere il bisogno, il punto di partenza di ciascuno per poi proporre un itinerario di crescita che porti al divenire persona umana aperta, accogliente e, perciò, solidale.

2. «ne distribuisce le parti alle suore, perché le cuciano». Coinvolgimento e corresponsabilità

Maria Domenica Mazzarello non mette a servizio della bambina solo se stessa. Non si pone mai come battitrice solitaria. Il suo si connota, sin da prima di diventare Figlia di Maria Ausiliatrice, come un metodo che si fonda sulla corresponsabilità e sulla finalità educativa perseguita grazie ad una dinamica comunitaria dialogica e dunque di una pluralità di relazioni. Sin dal suo nascere «il Collegio di Mornese si configura, infatti, come “casa di educazione”. […] La meta ultima della formazione integrale delle giovani è perseguita con responsabilità ed unità di intenti da parte di tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice e dalle altre presenze adulte che collaborano nella stessa missione secondo la peculiarità del loro ruolo».[10]

Maria Domenica ha sempre lavorato perché l’ambiente educativo di Mornese fosse connotato da relazioni di collaborazione, apertura, autenticità e reciprocità dialogica. Un clima che si rinnova continuamente, non è mai raggiunto una volta per sempre ma è «spesso faticosamente perseguito».[11]

Maria Domenica Mazzarello aveva ben compreso che se le relazioni tra le educatrici sono di buona qualità, anche l’azione educativa ne trarrà beneficio, per questo s’industria per coinvolgere, chiedere pareri e rendere protagonista ogni sorella e ogni persona che abbia, all’interno del Collegio, un qualsiasi compito nei confronti delle ragazze. Maria Domenica valorizza ogni apporto, ogni contributo, anche da parte delle stesse ragazze, perché convinta che il bene può essere raggiunto solo nella condivisione sincera, nel dialogo e nell’amore gratuito. Quello che Maria Domenica Mazzarello trasmette alle prime Figlie di Maria Ausiliatrice, è uno spirito di famiglia tipicamente salesiano. Uno spirito di famiglia vissuto però in modo creativo, apportando il tratto specifico femminile della relazione di cura che raggiunge e coinvolge l’esistenza di ogni ragazza grazie ad una presenza costante che, nel linguaggio comune salesiano, prende il nome di assistenza.

Sull’assistenza salesiana sono stati scritti e sicuramente si scriveranno ancora, fiumi di libri. Non essendo questo l’argomento di questa riflessione, mi limito ad affermare che essa si può definire come presenza costante, amorevole, attenta, ad ogni ragazza, proprio come la relazione di cura esige. L’assistenza, è vissuta non come controllo vigilante. È una presenza che si contraddistingue, per le Figlie di Maria Ausiliatrice, come un esserci «materno, sollecito ed efficace».[12]

La presenza materna dunque è la sfumatura tutta femminile con cui si colora il Sistema Preventivo e la relazione educativa delle Figlie di Maria Ausiliatrice. La corresponsabilità e il coinvolgimento che Maria Domenica costantemente opera si radicano proprio nello stile dell’amore materno con cui lei, con le prime suore, vivono l’esserci accanto alle ragazze. Ognuna è responsabile perché è madre e tutte sono madri perché sentono in loro la responsabilità dell’educare le ragazze, in uno stile pregno di dialogo.

A motivo dei variegati significati che si tende ad attribuire al termine dialogo, mi soffermo un po’ di più nell’esplicitare meglio questo stile che ci dovrebbe caratterizzare come educatrici. È uno lo stile di vita auspicata e desiderata, un’esistenza che per sua natura è in continuo divenire, alla ricerca della verità ultima che non è posseduta da una sola persona. Così inteso e vissuto il dialogo, ritrova lo spazio su cui innestare la propria relazionalità nel rispetto del «pluralismo delle idee e delle fedi come metodo per convivere e collaborare»[13] aprendosi alla reciprocità autentica.

Solo a questo punto potremo prendere coscienza di quanto sia fuori luogo e ingenua la pretesa di poter possedere la verità tutta, di quanto può insensata l’ostinazione a volerla utilizzare come semplice mezzo di giudizio nei confronti degli altri, di quanto sia deleteria la presunzione di mettere a tacere chi pensa in modo diverso, o semplicemente in modo nuovo ostacolando, così, la ricerca della verità.

È la verità la protagonista ultima, è lei che ci ospita invitandoci ad un cammino dialogico di inveramento. Inteso così il dialogo, non consente ad una sola persona l’ambizione di possedere tutta la verità. Per divenire nel pieno della sua essenza, il dialogo deve connotarsi di un aspetto comunitario, uno spazio in cui tutti sono invitati nessuno escluso, e in cui si rigenera la convivenza. Nel dialogo vissuto in questo modo, si radica il discernimento necessario a verificare, insieme, la validità di una scelta o di un’intuizione pastorale.[14]

La grandezza di Maria Domenica Mazzarello, consiste proprio nell’aver improntato tutto il suo metodo educativo in questo stile dialogico in cui far fiorire la corresponsabilità e il coinvolgimento di tutte le sorelle.

3. «interroga la bambina sul Catechismo e le insegna a recitare le preghiere». L’amicizia con Dio

Ciò che muove Maria Domenica, il nocciolo attorno a cui ruota tutto il metodo educativo di Mornese è la chiara e indiscussa consapevolezza che è fondamentale avvicinare le ragazze a Dio perché possano realizzare il sogno che Egli ha per ciascuna. Ogni proposta, ogni mezzo, ogni attività e ogni azione educativa ha di mira l’adesione libera alla relazione con un Dio che sogna grandi cose per ognuno.

Non l’adesione ad una religione, dunque, o un seguire sterilmente delle regole, non inculcare una morale fatta di direttive, ma l’incontro con una Persona viva, che è il Signore della vita. All’origine di tutto ciò vi è una chiara e inequivocabile consegna fatta in precedenza a don Bosco:

«don Bosco aveva sognato di trovarsi in piazza Vittorio a Torino, fra un gran numero di ragazze schiamazzanti dalle quali era stato supplicato di aiuto; egli, naturalmente, se ne era schermito. Ma allora era comparsa una nobile Signora tutta splendente in viso e gli aveva detto: “Abbine cura, sono mie figlie”».[15]

E, successivamente, anche a Maria Domenica Mazzarello:

«Passava un giorno per la collinetta di Borgoalto, quando le parve di vedersi di fronte un gran caseggiato con tutta l’apparenza esteriore di un collegio di numerose giovanette. Si fermò a guardare piena di stupore, e disse fra sé: «Cosa è mai questo che vedo? Ma qui non c’è mai stato questo palazzo! Che succede? E sentì come una voce: “A te le affido”».[16]

Il sogno di don Bosco è la molla che farà scattare la decisone del Santo di occuparsi anche delle ragazze. La visione di Borgoalto segna l’intera vita di Maria Domenica. Anche se lei comprenderà poco per volta il significato di un tal evento, la sua risposta sarà irrevocabile e totalizzante come abbiamo visto in precedenza nelle sue lettere: «Ne ho tutta la cura».

L’impegno educativo di Maria Domenica è teso costantemente alla piena maturità della persona, la sua dedizione alle ragazze, il suo sguardo attento a cogliere bisogni e necessità, la sua pronta vicinanza nei casi in cui è necessaria una buona parola, un consiglio, un richiamare ai valori alti della vita, tendono a far crescere le ragazze.

Lei sa bene che l’apertura ad un orizzonte più ampio che porti a realizzare il sogno di Dio, si innesta solo in un’umanità che matura nelle scelte quotidiane. La sua risposta alla consegna “a te le affido”, è il suo “divenire” cura ogni giorno che trova significato e valore nell’avere di mira l’accompagnamento di ciascuna ragazza all’incontro con il Dio della Vita piena.

È una spiritualità delineata in pochi tratti, ma decisi e chiari: basta poco per essere felici e santi ed è facile diventarlo. La strada è quella di una vita vissuta nella semplicità, nell’adesione sincera ai valori essenziali senza farsi distrarre da ciò allontana e porta inevitabilmente alla sconfitta. Una vita impostata nell’apertura all’altro. Maria Domenica è consapevole anche che questo può essere realizzato solo attraverso un’educazione che miri a formare una volontà forte e coerente.[17] Tutto ciò condito da una sana allegria che nasce dall’essere cosciente di aver intrapreso il cammino giusto e che, nonostante le inevitabili cadute, è sorretto dall’incontro quotidiano con un Dio che è Padre e noi ne siamo figli.

4. «questo servirà per rattopparti la veste qualora venga a stracciarsi». Per una vita aperta al futuro

Maria Domenica Mazzarello, non si preoccupa unicamente di rispondere alle esigenze e alle domande del presente, la sua azione educativa, l’essere cura, è orientato a fornire alle ragazze gli strumenti utili e necessari perché possano generare, gradualmente, nuova vita ed esserne le protagoniste. La relazione di cura autentica mira a fare in modo che la persona sia in grado di prendere in mano la propria vita e farne un capolavoro.

Maria Domenica evita con decisione un modello assistenzialistico privilegiandone uno intenzionalmente educativo che, con uno stile tipicamente femminile, comporta «l’agire in favore delle giovani perché esse possano sviluppare le loro capacità, migliorare le competenze, rendersi protagoniste attive e responsabili della loro crescita e di quella delle persone loro affidate».[18]

Perché questo possa avvenire è necessaria un’apertura al possibile e all’inedito che ogni persona ha in sé. Maria Domenica sa essere attenta e sollecita perché questo possa avvenire.

Nel suo essere donna ed educatrice Maria Domenica sa bene che l’accontentarsi di piccole mete non è il percorso giusto per la crescita delle persone. Chi educa sa che l’essere umano è un continuo divenire, una tensione incessante verso l’ulteriore. Ne consegue allora che il suo essere cura deve tendere a «realizzare il possibile nelle sue forme migliori, quelle in cui sentiamo compiersi il senso buono dell’esistere».[19]

Su quest’ultima affermazione vorrei fermarmi più a lungo perché sono convinta che il senso pieno dell’educazione e del Sistema Preventivo si radica proprio in questo punto tanto vitale quanto delicato che è il senso buono dell’esistere.

Maria Domenica Mazzarello, pur non essendo in possesso di particolari studi o di competenze pedagogiche, si è lasciata guidare da quell’intuito genuinamente femminile che sa cogliere l’originalità e l’unicità di ogni persona, per poterne individuare i germi di futuro, diviene cura attenta per coltivarli fino alla piena maturazione, attraverso itinerari di crescita pensati per la persona. Un itinerario di crescita che possa condurre ad una esistenza vissuta secondo scelte etiche, spirituali e sociali. Questo è possibile solo, come abbiamo visto, mettendo al centro la relazione educativa.

Oggi potremmo affermare che l’essere umano nasce, cresce e giunge a compimento proprio grazie alle relazioni che vive nel corso dell’esistenza, possiamo affermare senza ombra di dubbio che la persona è relazione. Una relazione che, per essere vera ed autentica deve connotarsi di reciprocità. Per la precisione, anzi, secondo il pensiero di Martin Buber «la relazione è reciprocità».[20]

Un’esistenza relazionale che si fonda nella reciprocità, è uno stile di vita che si apre, va incontro, si fa carico, diviene cura, a sua volta, della vita dell’altro in modo solidale nello stile unico della gratuità e della condivisione. Si può allora affermare che «ascolto, dialogo, generosità, ospitalità, cura del bene comune, condivisione, corresponsabilità sono gli ingredienti essenziali dell’esistenza comunitaria aperta come stile di vita».[21] Chi ha ricevuto cura e sostegno a propria volta, dunque, diviene capace di porsi in relazione mettendo in atto le stesse dinamiche di cura e attenzione.

L’esistenza si trasforma, così, un essere per gli altri, all’insegna della condivisione e della gratuità che diviene solidarietà.[22]

Per concludere: il “vestito logoro” delle giovani e dei giovani di oggi

In conclusione, questa riflessione, pur non avendo la pretesa di esaurire l’argomento, intendeva dare rilievo all’originalità e alla creatività educativa di Maria Domenica Mazzarello e al suo modo femminile di vivere il carisma salesiano . Ho evidenziato come, Maria Domenica, ha saputo incarnare e vivere la pedagogia del divenire ed essere cura, secondo il suo essere donna e consacrata. Pur consapevole che tanti argomenti necessiterebbero ancora di un’accurata riflessione, provo a trarre alcune conclusioni a partire da quanto ho affermato.

È noto a tutti come Maria Domenica Maria Domenica Mazzarello, nonostante non avesse molta istruzione, fosse dotata di sapienza vera e profonda, tanto che, assimilando il metodo educativo di don Bosco, diede inizio ad una nuova tradizione educativa femminile salesiana.

Emerge nel suo metodo educativo l’instaurare una relazione educativa in cui la cura, dote spiccatamente femminile, è alla base di ogni sua azione.

In un contesto sociale come quello attuale, risulta quanto mai profetico l’apporto di Maria Domenica al comune Carisma Salesiano. L’impronta specialmente femminile della cura è una delle urgenze di cui i giovani hanno maggiore necessità. Da ogni parte, infatti, si evidenzia come sia sempre più urgente porre rimedio ad una forte crisi educativa che, da tempo, attanaglia adulti e giovani.

“il vestito logoro” lo si può vedere ancora addosso a tante giovani e tanti giovani del nostro tempo. Un vestito esistenziale stracciato, rovinato e liso in tanti punti che rischiano di renderlo inservibile e chiede sempre con più urgenza un intervento educativo per rimetterlo a nuovo. Mi soffermo su quelle che, a mio avviso, sono tra le più urgenti da curare, per sanare dalle fondamenta una società segnata dall’egoismo e dalla sopraffazione.

Tra i tanti strappi e scuciture, quello che è sotto gli occhi di tutti, prima di tutto, è la difficoltà da parte dei giovani nell’instaurare rapporti aperti e accoglienti, capaci di stimolarsi alla crescita reciprocamente, portando le giovani generazioni a convincersi sempre più che per essere vincenti è necessario fidarsi sempre più solo di sé stessi, cominciando a vedere l’altro più come un antagonista che come un compagno di viaggio.

Le relazioni che ne nascono sono connotate da distanza e freddezza portando gradualmente ad una disgregazione della concezione comunitaria della società, rinunciando a spazi di accoglienza, confronto e dialogo. Queste emergenze hanno corroso alla radice l’aspetto relazionale non solo dei giovani ma di ogni persona umana.

La proposta educativa di Maria Domenica Mazzarello, allora, diviene quanto mai attuale anche a distanza di tanto tempo. L’aver vissuto un metodo educativo che mira al coinvolgimento di tutta la comunità e di tutti gli adulti è già una chiara risposta all’attuale crisi relazionale.

Una testimonianza comunitaria che fa interrogare sull’importanza di attuare quella che a me piace chiamare “solidarietà educativa” non solo a livello comunitario ma anche tra le varie istituzioni educative, è già una risposta relazionale. Come Maria Domenica Mazzarello ci ha insegnato, è solo nella corresponsabilità e nel coinvolgimento di tutti gli educatori che si può attuare un vero cambiamento. I giovani hanno bisogno di vedere che è possibile vivere relazioni autentiche che hanno un’etica che porti alla costruzione del bene comune. E questo possono impararlo da quegli adulti che testimoniano con la vita che è possibile impostare la propria esistenza in questo modo.

È impensabile che si continui a vivere la competizione e la rivalità a scapito della crescita delle nuove generazioni. Urge attuare un’alleanza e una solidarietà educativa che superino diatribe, normali divergenze e visioni personali, attuando uno stile dialogico di condivisione per giungere ad una convergenza educativa.

Un altro squarcio di questo “vestito logoro” indossato dai nostri giovani, che dovrebbe interpellarci maggiormente come educatori ed educatrici è la differenza di genere che, invece di valorizzare la ricchezza della diversità, tende sempre più a penalizzare le ragazze e le giovani. Si tratta, a mio avviso di uno squarcio che dovrebbe farci prendere coscienza di come sia irreale parlare in generale di giovani. Abbiamo dinanzi a noi dei ragazzi e delle ragazze e, quest’ultime richiedono un’attenzione particolare, a causa dei continui rischi di cui sono oggetto.

In fedeltà a quanto ci insegna Maria Domenica Mazzarello dobbiamo cogliere la consegna di essere, come lei, donne che divengono cura, denunciando con un’azione educativa mirata, l’urgenza di una particolare cura ed attenzione al mondo delle giovani donne che ci interpella quotidianamente, instillare una sana inquietudine perché possa esserci una seria riflessione ed esige, a mio avviso, una risposta a partire dall’essere educatrici salesiane nello stile originale e insostituibile di Maria Domenica Mazzarello.

Non esistono risposte precostituite che possano andare bene per ogni emergenza educativa, bisogna coltivare l’attenzione e l’ascolto verso il bisogno innato che ciascuno di noi ha, a modo suo, di “ben-esserci” con l’altro, in un preciso momento della sua esistenza. Solo così sarà possibile operare un cambiamento che non escluda nessuno dal vivere una vita felice.

[1] Maccono Ferdinando, Santa Maria D. Mazzarello Confondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice I, Torino Istituto FMA 1960,407-408.

[2] Cf Ruffinatto Piera, La relazione educativa. Orientamenti ed esperienze nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Ed. Il Prisma 28, Roma, LAS 2003, 66-67.

[3] Midali Mario, Il significato del titolo di Confondatrice, Roma, LAS 1982, 101.

[4] Pandolfi Alessandro (a cura di) Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, ed. Feltrinelli 2020.

[5] Cf Cavaglià Piera, Linee dello stile educativo di Maria Mazzarello in Cavaglià Piera, Del Core Pina (a cura di), Un progetto di vita per l’educazione della donna. Contributi sull’identità educativa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Orizzonti 2, Roma, LAS 1994 131-162. Il volume raccoglie contributi che vertono sull’identità educativa delle religiose fondate da S. Giovanni Bosco e da S. Maria Domenica Mazzarello, punto di riferimento imprescindibile per coloro che sono impegnati nella formazione di educatrici nell’attuale contingenza culturale.

[6] Lettera 22, 8.

[7] Ivi 10, 3.

[8] Cf Cavaglià Piera, Linee 131.

[9] Cf Mortari Luigina, La relazione di cura in Riflessioni Sistemiche 7 (2012), 67.

[10] Ruffinatto Piera, La relazione educativa 83-84.

[11] Cavaglià Piera, Linee 155.

[12] Cf Manuale delle Figlie di Maria Ausiliatrice fondate l’anno 1872 dal Venerabile Giovanni Bosco, Torino, Tip. Salesiana 1908.

[13] MANCINI Roberto, Laicità come metodo, Assisi, Cittadella Editrice 2009, 42.

[14] Cf L. cit. 43-49.

[15] Capetti Giselda (ed.), Cronistoria [dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Roma, Istituto FMA 1974, Vol 1, 25.

[16] Ivi 96.

[17] Cf Cavaglià Piera, Linee 139-141.

[18] Ruffinatto Piera, Educare “buoni cristiani e onesti cittadini” nello stile del Sistema preventivo. Il contributo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, in Loparco Grazia, Spiga Maria Teresa (a cura di), Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione. Documentazione e saggi, Roma, LAS 2011, 53.

[19] Mortari Luigina, Filosofia della cura, Milano, Raffaello Cortina Ed. 2015, 22.

[20] Buber Martin, Io e tu,in Id., Il principio dialogico e altri saggi [Ich und Du, in Das dialogische Prinzip, Heidelberg, Schneider Verlag, 1954] tr. it. di Anna Maria Pastore, Cinisello Balsamo, San Paolo 1971, 72.

[21] Mancini Roberto, La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola, Assisi, Ed. Cittadella 2008, 12.

[22] Cf Zanardo Susy, Il legame del dono, Milano, Edizioni V&P 2007, 16

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