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Cosa può insegnarci l’arte? Empatia e immaginazione anche a distanza

di Anna Delle Foglie, storica dell'ARTE. 

Nel pieno della drammatica emergenza sanitaria mondiale causata dal COVID-19, che tra le tante limitazioni ci impedisce di visitare luoghi e monumenti del nostro Bel Paese e di vivere l’esperienza unica di ammirare un capolavoro da vicino, c’è tanta arte da vedere sul web: musei e mostre in virtual tour, cataloghi e collezioni digitali da “sfogliare”, piattaforme di contenuti, video su YouTube, canali dedicati della tv satellitare, per non parlare dei social media.

Insomma un dedalo vastissimo di possibilità che vengono offerte anche in forma gratuita ma che, per paradosso, rischiano di apparire come un enorme e disordinato ipermercato dal quale ci sentiamo attratti ma, allo stesso tempo siamo smarriti, senza trovare o riconoscere ciò che ci occorre.
Eppure, proprio in questo momento, l’arte potrebbe divenire un’opportunità importante per ritrovare la strada in diversi settori, a cominciare dalla scuola che, improvvisamente, ha dovuto fronteggiare un’altra emergenza, quella della didattica a distanza, entrata prepotentemente nella quotidianità di docenti e studenti, mettendo in evidenza l’urgenza di creare nuove strategie didattiche che sappiano coniugarsi con la tradizione formativa.
Ed è proprio in questo contesto “di una scuola in divenire” che l’arte, nella sua funzione educativa, può aiutare a ridurre virtualmente le distanze rendendo qualitativamente più efficace anche la comunicazione a distanza con i nostri studenti.
È vero che l’educazione richiede prossimità, ma soprattutto quell’empatia di cui tanto si parla e che in questo momento sembra cristallizzata nella mediazione di uno schermo.
Ma come può aiutarci l’arte? Ancora una volta il passato viene in nostro aiuto, forse non per darci una soluzione ma per consegnarci strumenti utili per la riflessione.
Nel Palazzo Trinci di Foligno, dimora di una delle storiche signorie dell’Umbria, si trova un bellissimo ciclo di affreschi del primo decennio del Quattrocento dedicato a celebrare da un lato i suoi committenti, in particolare il conte Ugolino Trinci, e dall’altro la grandezza di Roma a cui volevano ispirarsi.
Nella sala dedicata alle Arti liberali e ai Pianeti, tra le allegorie delle Arti (Retorica, Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica, Dialettica, Grammatica unite alla Filosofia), risalta in particolare la rappresentazione della Grammatica, personificata in una figura femminile che insegna la lettura al suo piccolo scolaro.
Gli artisti attivi nel ciclo provenivano dalla bottega di quel Gentile da Fabriano, che, dopo aver dato prova a Firenze con il suo capolavoro del 1423 l’“Adorazione dei Magi” per Santa Trinita (Firenze, Galleria degli Uffizi), nella fase più matura avrebbe affrescato su commissione del Pontefice Martino V la navata della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma.
Lo stile della Grammatica di Palazzo Trinci è nella piena koinè del tardogotico ed ha la tipica tenerezza e schiettezza della pittura d’Italia centrale, che si nota soprattutto nell’acconciatura raccolta sul capo della donna, nell’eleganza delle forme e nella robusta presenza del bimbo dalla chioma bionda e riccioluta.
L’affresco mostra un’esperienza comune al vissuto di tutti noi, specialmente nella dinamica educativa, ovvero il gioco di sguardi: gli occhi della docente sono rivolti al suo allievo e quelli dell’allievo sono diretti al libro aperto e alla lezione da apprendere, con le lettere dell’alfabeto vergate sul foglio del libro.
Anche l’Aritmetica è rappresentata tra le Arti, è una donna seduta in cattedra, e qui appare evidente un altro aspetto empatico-relazionale: il gioco dei gesti, in quelle mani dell’insegnante e dell’allievo che, in sincronia, contano i numeri.
Ebbene in questi affreschi, come in tante altre opere d’arte, comprendiamo che c’è il racconto della vita dell’umanità, anche se si tratta di un passato lontano, distante secoli o millenni.
Oggi più che mai sentiamo il bisogno di nutrirci di natura e paesaggio. Allora, come non pensare alla forza d’immaginazione che spinse Claude Monet a trasformare il ritratto familiare della “Donna con il parasole” del 1875 (Washington, National Gallery of Art) in un vortice di emozioni en plein air; con il volto di sua moglie Camille che si confonde nelle pennellate del cielo estivo e quello di suo figlio Jean, che attende impaziente di riprendere la passeggiata sulla collina ricoperta dal prato. Per non parlare del soggetto delle “Ninfee”, dipinte ripetutamente tanto da divenire un’idea astratta smaterializzando in diverse sfumature i colori. Proprio il laghetto con le ninfee era l’ “angolo” preferito della casa studio dell’artista a Giverny, ma poi è diventato un immaginario universale che tutti noi possiamo, in qualche modo, visitare.
Se dunque esiste anche una sola possibilità di non perdere il contatto con la bellezza ed il mondo che ci circonda attraverso l’arte, ebbene questa è la via che vale la pena di percorrere soprattutto nel contesto formativo, per rendere più efficace e coinvolgente la trasmissione delle conoscenze anche a distanza.
Quando comprenderemo che proprio l’arte sostiene lo sviluppo delle cosiddette skills, perché alimentata dall’empatia, allora di fronte alla vastità e complessità dell’offerta del digitale, saremo in grado di trovare ciò che ci occorre, imparando a scegliere e distinguere la qualità dei “prodotti”, per essere capaci di costruire percorsi didattici trasversali e innovativi applicando una corretta pedagogia della narrazione.
La bellezza, allora, ci sembrerà una rinnovata scoperta perché sapremo utilizzarla e comunicarla, l’arte sarà una nostra preziosa alleata nella scuola e, come d’incanto, ci apparirà quella finestra in più che oggi manca nelle nostre case.


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